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Piccola riflessione sul coding

Sono un’insegnante. L’impostazione naturale della mia didattica, legata alla disciplina che insegno, è in gran parte basata sulla progettualità. Impostare in modo corretto tutte le fasi di un progetto è dunque una parte cruciale della competenze che dovrei fornire agli alunni.

Una considerazione che ho sempre giudicato importante porre alla base della didattica, è la specifica suddivisione di ruoli che assumono le due parti iniziali e ben distinte di un progetto (analisi e codifica), indispensabili per attivarne la terza (implementazione).

Analisi e codifica attivano due aree ben distinte del cervello, che nell’individuo non sono sviluppate nella medesima misura. È questa la ragione principale per la quale un progetto deve essere in genere condotto da un team di lavoro, del quale fanno parte individui con caratteristiche complementari: alla base di un buon progetto si può porre infatti la costituzione di un gruppo di lavoro che sia completo ed efficace, proprio in virtù di questa condizione.

Le dinamiche dell’analisi sono in genere più complesse da gestire che non quelle della codifica, proprio per la natura stessa dell’azione; l’analisi può essere considerata una conoscenza, mentre la codifica un’abilità, senza nulla togliere a quest’ultima.

Nella fase di istruzione tipica della scuola, queste due azioni devono però essere incluse nel curricolo e insegnate a tutti gli allievi 1. Le valutazioni finali degli alunni dovrebbero tenere in debita considerazione la dinamica della complementarietà, cosa ormai molto difficoltosa in quanto è sempre meno il tempo dedicato dal docente alla conoscenza reale dell’individualità dei singoli  alunni. Un alunno con un emisfero cerebrale sinistro più sviluppato del destro, sarà probabilmente maggiormente predisposto all’analisi 2, e le valutazioni complessive della sua attività non dovrebbero essere penalizzate dagli scarsi risultati ottenuti nell’attuazione della codifica. Discorso complesso, dunque, che da secoli ogni docente risolve come meglio può.

Anche la suddivisione delle discipline nei differenti curricoli di studio può essere considerata nello stesso modo: alcune maggiormente orientate all’analisi, altre basate sulla codifica e forse qualcuna dedicata all’implementazione. Di sicuro le discipline della prima categoria hanno un percorso che in genere affanna maggiormente lo studente, in quanto sono orientate alla conoscenza, al sapere, e dunque implicano una maggiore quantità di ore dedicate allo studio. Le discipline di codifica, più orientate al fare e perciò in grado di sviluppare maggiormente le abilità, sono invece percepite con più leggerezza 3 da parte dallo studente. Occupano magari lo stesso un buon numero di ore, ma passate in genere su supporti e risorse differenti che non i libri (cartacei o elettronici che siano).

A questo punto la domanda è d’obbligo: quale di questi aspetti la Scuola, intesa come sistema, deve privilegiare o amplificare con iniziative mirate, come quelle della settimana del coding e del piano nazionale della scuola digitale? Che non sono certo sbagliate in se, ma rischiano di essere vetrina solo di quella parte del tutto che è sicuramente più accattivante, ma anche pericolosamente più skilloriented 4, e che forse non premia il lavoro di quei docenti che trovano difficoltoso innestarsi su queste modalità; anche gli emisferi dei docenti sono sottoposti alla stessa dinamica neurale e non a tutti viene spontaneo il coinvolgimento di attività orientate al fare. O, più semplicemente, cogliere il significato di certe azioni che implicano il fare.

Il coraggio di passare dallo skill al klowedge deve però essere preso in modo chiaro e preciso dalle singole istituzioni scolastiche e lo schierarsi è d’obbligo. Non lo schieramento che preclude alla battaglia, però, ma quello che prepara alla parata. Si possono portare avanti entrambi gli aspetti – segno della complessità del sistema istruzione – e ci deve essere anche la capacità di porre sullo stesso piano analisi e codifica, conoscenze e abilità. Ma non ho idea di come si possa concretamente fare.

In questo senso, l’ente ministeriale preposto a dare lumi e guida in proposito, non aiuta granché. O almeno non fornisce degli elementi utili per orientare i docenti all’azione equilibrata; anzi, a prima vista sembra calcare pesantemente la mano sulle skill, con iniziative che a molti appaiono “da vetrina”, oppure vengono proposte e finanziate attività con modalità che sicuramente sono affette da scarsa trasparenza. Obbligare a coordinare delle non certo semplici attività di pianificazione progettuale – per le quali sono d’obbligo specifiche klowedge – in tempi a volte troppo brevi per una seria attività di analisi, rischia di orientare tutte le attività verso skill, a volte fantasiose ed elaborate; ma per noi, a monte, è posto sempre il concetto chiave di competenze 5 come ormai dovremmo aver assimilato.

A prima vista sembrerebbe il cane che si morde la coda. Se così fosse, sarebbe il male minore: ogni tanto ci si ferma, si prende respiro, e si ricomincia il girotondo. Ci possiamo ridere sopra all’infinito. La realtà è che si tratta di una capra zoppa. È più grave, in quanto alla fin fine il pastore si vede costretto a sopprimerla.

Giorgio Ginelli, 2015


1. Scarsa considerazione viene invece attribuita alla terza, in genere per ragioni legate alla difficoltà di gestione per mancanza di risorse. [up]

2. “Sommariamente si può dire che l’emisfero sinistro, quello del linguaggio, è più specializzato per i processi sequenziali, serie di eventi che si susseguono nel tempo, come possono essere quelli della concatenazione logica del pensiero, mentre l’emisfero destro è più specializzato nell’elaborazione visiva o per immagini degli eventi, nella loro organizzazione spaziale oltre che nella loro interpretazione emotiva.” (Laura Catastini, università di Roma Tor Vergata) [up]

3. “…leggerezza non è superficialità ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore.” (Italo Calvino, Lezioni americane) [up]

4. Nel mondo anglosassone, ahimè, non si fa particolare distinzione tra conoscenze e abilità: sono tutte skill. Peccato, in quanto invece nelle linee guida dei curricioli italiani la differenza è presente e ampiamente dibattuta, a volte con estrema confusione e in ogni caso con poca chiarezza. Perché dunque inseguire un modello – quello anglosassone – che ci conduce per strade nebbiose? [up]

5. Definizione competenze, abilità, conoscenze secondo il Quadro Europeo delle Qualifiche (rif. Decreto ministeriale n. 139, 22 agosto 2007)
Conoscenze. Assimilazione di informazioni (fatti, principi, teorie e pratiche) relative ad un settore. Sono teoriche e pratiche.
Abilità. Applicare le conoscenze e usare il know-how necessario per portare a termine compiti e risolvere problemi. Sono cognitive (uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) e pratiche (abilità manuale, uso di metodi, di materiali, di strumenti).
Competenze. Comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali, metodologiche in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale. Sono descritte in termini di responsabilità ed autonomia. [up]

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