Si avvicina il Natale ed è tradizione che da qualche parte venga rispolverato uno dei film tratti da opere letterarie che ha visto il più alto numero di adattamenti: Canto di Natale di Charles Dickens (A Christmas Carol, 1843) il più famoso dei racconti ispirati al Natale scritti dal famoso scrittore inglese, universalmente riconosciuto come l’anticipatore, se non l’iniziatore, del romanzo sociale. A parte quello, una sua ossessione è stata senz’altro il Natale, frutto forse dell’infanzia poco felice che si è ritrovato a dover gestire. Ossessione che ha prodotto nei suoi anni una serie intera di Libri di Natale (The Christmas Books), una collezione di opere che include, oltre a Canto di Natale, altri titoli: Le Campane (The Chimes, 1845), L’uomo visitato dagli spettri (The Haunted Man, 1848), Il grillo sul caminetto (The Cricket on the Hearth), 1845 e La lotta per la vita (The Battle for Life).
Di tutti questi titoli il Canto è senz’altro il più famoso ed il più adattato: la punta dell’iceberg, appunto. L’ultima prova cinematografica è del 2009, realizzata in animazione digitalizzata in 3D, con l’ausilio di attori in carne ed ossa, in cui il ruolo di Ebenezer Scrooge e dei tre fantasmi è interpretato da Jim Carrey.
Andando indietro nel tempo – per restare in tema con la storia – in questo secolo di film ne troviamo solo un altro nel 2004 (realizzato per la TV con Kelsey Grammer e Jennifer Love Hewitt) ma ne troviamo quattro nel secolo scorso, a cominciare da una dimenticata pellicola muta del 1911 con William Bechtel e regia di Charles Kent e due edizioni radiofoniche: nel 1939 con Lionel Barrymore nel ruolo di Scrooge e un’altra nel 1975 nella quale è Michael Gough a rivestire i panni dell’avaro finanziere.
Bisogna passare la bufera delle guerre mondiali per avere una produzione cinematografica che a prima vista può sembrare fedele all’opera (nel 1951 con Alastair Sim nel ruolo di Scrooge), ma che in effetti è un adattamento zeppo di modifiche. Forse è più fedele “Non è mai troppo tardi”, una pellicola italiana del 1953 diretto da Filippo Walter Ratti, con Paolo Stoppa e Marcello Mastroianni; una produzione tutta italiana sceneggiata dallo stesso Ratti coadiuvato da Piero Regnoli.
Rimanere fedele all’opera originale sembra non essere facile, se nemmeno Ronald Neame nel 1970 c’è riuscito, firmando la regia di “La più bella storia di Dickens” in cui Ebenezer Scrooge è impersonato da Albert Finney; ma questa trasposizione è un musical e comunque fa ricevere a Finney in quell’anno il Goldel Globe Award migliore attore. Per non essere da meno anche gli americani nel 1999 firmano un adattamento diretto da David Hugh Jones, con Patrick Stewart nel ruolo di Scrooge; paradossalmente, forse, il più fedele all’opera, forse perché lo Steward arriva da una lunga esperienza teatrale di Dickens (non ha mica fatto Star Trek per tutta la vita…).
Finisce qui, direte voi. Invece no, perché la storia natalizia di Dickens la possiamo trovare tagliuzzata, sminuzzata, trasformata, in altre pellicole: da S.O.S. fantasmi (Scrooged, 1988) con Bill Murray, a La rivolta delle ex (The Ghosts of Girlfriends Past, 2009) con Matthew McConaughey. Passando possiamo incontrare anche tutte le produzioni animate, a cominciare da Magoo’s Christmas Carol, del 1962, al cortometraggio Canto di Natale di Topolino (Mickey’s Christmas Carol) del 1983, senza tralasciare Festa in casa Muppet (The Muppet Christmas Carol) del 1992.
Il rischio a veder tutte queste pellicole è che alla fin fine del libro se ne perde traccia. Ed è un peccato, per le ragioni che indica Guy de Maupassant nella novella Il nostro cuore: “La parola abbaglia e inganna perché è mimata dal viso, perché la si vede uscire dalle labbra, e le labbra piacciono e gli occhi seducono. Ma le parole nere sulla carta bianca sono l’anima messa a nudo.”
(Articolo pubbicato sul n.33 di Io Come Autore)
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