…Brush up your Shakespeare,
Start quoting him now.
Brush up your Shakespeare
And the women you will wow…
(dal musical di Broadway “Kiss Me Kate”, musica di Cole Porter, 1948)

Ci sono autori che più di altri sono di attualità in qualsiasi periodo della storia dell’uomo gli si voglia leggere e considerare. Forse nessuno più del bardo di Stratford-On-Avon risponde a questa regola.
Che Shakespeare sia esistito o meno – tralasciamo qui la lunga e intricata querelle iniziata da un’affermazione di Alphonse Allais, il quale sospettava che a firmare le opere con questo pseudonimo fosse solo uno sconosciuto che avesse tale nome – poco ci importa.
Le opere – le avesse scritte anche il demonio – ci sono e rimarranno. Così come rimarranno le oltre cinquanta pellicole che dal 1900 (il primo: Amleto, regia di Clément Maurice, protagonista Sarah Bernhardt nel ruolo del principe) ad oggi sono state più o meno fedelmente adattate dalle sue opere.

Dall’inizio del XX secolo a oggi, molti attori sono stati legati in maniera quasi indissolubile alle opere del Bardo, passando dal palco teatrale (come è stato per Sarah Bernhardt, ma anche per Laurence Olivier) all’obiettivo della telecamera. Per molti Shakespeare è stato una sorta di marchio di fabbrica (come per John Gielgud, Richard Burton, Vittorio Gassman e la coppia Emma Thompson, Kenneth Branagh), per altri è stato un’interpretazione importante tra le altre, e penso a Marlon Brando, Mel Gibson e Leonardo Di Caprio. Alcuni, invece, ci sono arrivati più tardi come ad esempio Al Pacino che nel 1996 trasforma il suo “Riccardo III” in una sorta di dibattito sulla tragedia shakespeariana e sull’attualità della sua messa in scena. Sembra che tutti, prima o poi, debbano trovarsi faccia a faccia con lui, per leggerlo, interpretarlo e rimanerne arricchiti.
La storia d’amore tra Shakespeare e il cinema nasce però fin dai primi passi del muto, a dimostrazione che ciò che attrae di queste opere non sono solo i “pentametri giambici” che danno ritmo e armonia ai suoi versi, sia si parli dei famosi sonetti o delle produzioni per il teatro. Shakespeare, chiunque sia mai stato, è riuscito a trasferire la sottigliezza e la sfumatura ricercata, anche nella trama delle sue opere, sempre attuali e significative, in quanto pongono al centro della storia l’uomo.
Al punto che non è un’opera impossibile ambientare “Romeo e Giulietta” nell’Upper West Side di New York e dare così modo a Leonard Bernstein di firmare il musical “West Side Story”, portato poi sullo schermo nel 1961 da Jerome Robbins e Robert Wise. Oppure trasferire “La tempesta” dal pianeta Terra ad Altair IV con il film “Il pianeta proibito” del 1956 diretto da Fred McLeod Wilcox.

In mezzo ci stanno una quantità impressionante di pellicole che vedono l’adattamento di numerose opere di Shakespeare, in versioni fedeli o modernizzate, ma anche pienamente “infedeli” all’originale.
Neanche a dirlo: di gran lunga preferito risulta essere la tragedia amorosa dei ragazzi di Verona, seguito mica tanto neanche a ruota dal principe di Danimarca. Tutti gli altri a venire; c’è perfino qualcuno che ha messo in pellicola tragedie come Cimbelino, Misura per misura (nel 1913) e più recentemente (nel 1999) Pene d’amor perdute; quest’ultima da Kenneth Branagh nel suo tentativo di portare l’opera omnia shakespeariana sullo schermo (ben dodici sono i film tratti da tragedie e commedie del Bardo, che l’attore/regista britannico/irlandese ha portato sullo schermo).
Ma non gli basterà una sola vita, per cui soccomberà miseramente (endecasillabo giambico?); l’opera di Shakespeare, anche se è tutta farina del sacco di un solo autore, non potrà mai essere cotta da un’unico fornaio.

(Pubblicato sul n.18 di Io Come Autore)

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