Vita grama
All’inizio vi fu “Dracula”, quello di Bram Stoker; si era nel 1897 e l’ispirazione era abbastanza chiaramente una risposta all’austera rigidità e all’ossessione fobica sessuale dell’età vittoriana. Lasciamo perdere gli illustri antecedenti (“Il vampiro” di John Polidori del 1819, “Varney il vampiro” di Thomas Presket Prest del 1847 e “Carmilla”, la sensuale vampira del racconto di Joseph Sheridan Le Fanu del 1872) che, se pur blasonati, intriganti e notevoli, ad aspettare loro, dei vampiri se ne sarebbe persa traccia. È con Stoker che la figura del morto-non-morto acquista fama e notorietà. Dal suo Dracula in poi è un susseguirsi di successi sia letterari che filmografici. Ma fino a qualche tempo fa tutto è stato canonico, nel solco tracciato dallo scrittore irlandese con il suo capolavoro di ossessione gotica e tetra minaccia. Perfino un bellissimo e inquietante film come Miriam si sveglia a mezzanotte (The Hunger, del regista Tony Scott) del 1983, interpretata da Catherine Deneuve, David Bowie e Susan Sarandon, non è riuscito a deviare più di quel tanto la strada tracciata a colpi di morsi infaticabili.
Ma alle soglie del terzo millennio qualcosa dev’essere cambiato, soprattutto per uno come me che non ha fatto molta attenzione a cosa è successo nel frattempo.
Libreria, televisione, sala cinematografica: ovunque cada lo sguardo è un tripudio di vampiri che però, a ben guardare, spostano di molto l’obiettivo iniziale. Dalla necessità liberatoria imposta dalla rigidità vittoriana e dal bisogno psicotico di creare un’alternativa più cattiva all’umanità (non siamo noi i cattivi, ma bensì loro, i “diversi”), siamo arrivati alla necessità della loro integrazione. Ma per farlo dovevano essere operati anche dei profondi cambiamenti al concetto canonico di vampiro, altrimenti i nuovi lettori non ti si filano.
L’esempio più clamoroso è senz’altro la serie di romanzi Twilight di Stephanie Meyer (2005/2006), nella quale un’adolescente (americana) si innamora di un vampiro e viene integrata nella loro famiglia. Un prodotto letterario creato ad hoc per gli adolescenti del terzo millennio che è subito diventato una saga cinematografica, la quale ha amplificato oltre ogni misura il successo della serie: da qui blog, fanclub e isterismi adolescenziali sotto tutte le bandiere del mondo. Gli ingredienti ci sono tutti, fondamentalmente vampiri e licantropi, che non vivono però in armonia (in molte pellicole il vampiro è il signore dei lupi, ma non qui di sicuro). In Twilight lo scontro fra le due specie è sul piano fisico-sociale: o si preferisce l’efebico ed esangue Edward, oppure il muscoloso, ipertrofico e peloso Jacob. Il tutto ammantato di una bambagia sessual-psicotropica tipicamente americana (niente sesso esplicito, un bacio ogni due film/libri, i cattivi poco vestiti, i buoni con il maglione a collo alto e che coprono i jeans attillati e, solo per qualche frazione di secondo, i licantropi che si allenano correndo in pantaloncini nel bosco umido…).
Ma cazzarola: stiamo parlando di vampiri, che dovrebbero sventrare le vergini dalla zona carotidea al decolté! Ma niente, altrimenti niente messaggio positivo agli adolescenti: l’umanità deve uniformarsi in una grande amalgama di pace e serenità. E in questo universo i vampiri sono vegetariani e non si inceneriscono al sole ma bensì sbarluccicano, e non so bene per quale strana alchimia riescono anche a generare figli, mentre i licantropi si trasformano in un microsecondo (“a comando” e alla barba della luna piena). Successo universale.
Inaugurato un filone così proficuo (di compensi per autori, sceneggiatori, registi e agenti, naturalmente) non si può certo pensare di esaurirlo, così nel 2009 qualcuno si ricorda che alla fine degli anni ’90 la scrittrice americana Lisa Jane Smith aveva scritto una trilogia che poteva essere recuperata: Il diario del vampiro. Oh, bene. Si ritorna alle origini: un vampiro che scrive un diario è molto Bram Stoker!
Credo che le similitudini però, si fermino più o meno a quello. Qui i vampiri ritornano a dover stare attenti alla luce del sole, finalmente, ma esiste la deroga: i vampiri protagonisti, grazie ad anelli e pendagli magici, passeggiano allegramente (gli altri sono naturalmente un po’ infastiditi della cosa) e nella narrazione frequentano anche la high school locale. Ancora ambiente adolescenziale, dunque, in cui solo il vampiro principale (quello che scrive il diario) si astiene dal bere il sangue umano, mentre tutt’intorno si scatena la ridda di umani che da più di cent’anni cercano di farli fuori e di vampiri che a loro volta cercano assetati la vendetta. Qui non ci sono licantropi, sostituiti dalle streghe; quelle vere, che sanno fare incantesimi e hanno poteri psichici. E che ovviamente hanno instaurato un clima con i vampiri di belligeranza controllata.
Si tratta di una saga molto lunga, della quale la Smith ha scritto parecchi volumetti e che sono serviti per la trama di un serial televisivo americano che per ora ha visto due serie. Tecnicamente più spinto: qualche scena di sesso qua e là, molto bla-bla esplicito in materia, una strizzata d’occhi al fenomeno gay. Insomma, un prodotto confezionato a dovere per accogliere gli adolescenti più “maturi” che prima o poi si stuferanno delle azioni platoniche di Twilight. Senza disturbare molto le loro abitudini qui possono trovare un’altra adolescente (sempre americana, ma maliziosamente più sexy) innamorata di un vampiro ultracentenario ma poco più che adolescente nell’aspetto, che fa di tutto per rinnegare la sua condizione e redimere l’orgia di sangue che ha contraddistinto la sua vita di un tempo. E naturalmente il buon vampiro ha anche il suo doppio nel fratello, più birbantello, che pure lui non è immune al fascino della bella adolescente problematica, alle spalle della quale si dipana ovviamente un filo che conduce a loro. Un filo intrigante e molto poco political correctly: guardatevi la serie e fate finta di essere adolescenti, se non lo siete.
Se invece pensate di essere qualcosa di diverso, fate come me e ripetete ad alta voce: fortuna che ci sono gli inglesi.
Nel 2008 Toby Whithouse (al suo attivo come sceneggiatore il più recente Doctor Who, per intenderci, e Torchwood, interessante serie di sf) confeziona Being Human, ambientata nella cittadina inglese di Bristol. Protagonisti: un vampiro, un licantropo e una fantasma impegnati in una problematica convivenza nell’appartamento dove quest’ultima è spirata. Una serie molto ben curata, intelligente, ironica (che gli americani si sono impegnati a rovinare, se è vero che stanno cercando di farne il remake ambientato nel nuovo mondo) che ancora una volta vede un gruppo di “diversi”, di “mostri”, impegnati ognuno a modo suo a cercare di umanizzarsi, ma per scoprire forse che i veri mostri sono gli umani. Chi è diventato un mostro ha dovuto scoprire a proprie spese che si è anche beccato un bel po’ di tormenti esistenziali; man mano si guardano le puntate, i protagonisti perdono la loro carica ironica e la storia diventa forse un po’ troppo carica di simbolismo.
Comunque, a differenza delle serie americane, in “Being Human” non ci sono mezze misure o ipocrite scene paludate: il sangue è sangue, il sesso è sesso, il licantropo è un lupo solo ogni 28 giorni e si trasforma nei tempi che ci aveva già fatto vedere John Landis nel 1981. Il sole, però, anche qui non incenerisce più i vampiri, ma per fortuna non ci sono talismani a decretare in modo classista quali sono i fortunati che possono passeggiare liberamente di giorno. Complice forse l’inquinamento, ma il sole non è dopotutto quel gran fastidio e un bel paio di occhiali risolve il problema. Poi a Bristol mica ci sono spiagge dove un vampiro è costretto a passeggiare; la vita si svolge al pub.
Ancora una volta, dunque, gli inglesi fanno centro: non solo per la sf (sia scritta che filmica) ma anche con il genere horror. Fanno centro forse perché, a differenza degli americani, sono abituati a guardare il centro quando mirano e non la periferia. O forse perché in quanto a vita grama ne hanno passate di peggio che non i cugini a stelle e strisce.
(Articolo pubblicato sul n.51 di Io Come Autore)
1 commento
Comments feed for this article
4 ottobre 2010 a 14:41
Chiara Ginelli
Bello l’artiolo di Twilight pero’ volevo dire che i vampiri della saga non sono tutti vegetariani ma solo la famiglia Cullen !!