…una volta Zhuang Zhou sognò che era una farfalla svolazzante e soddisfatta della sua sorte e ignara di essere Zhuang Zhou. Bruscamente si risvegliò e si accorse con stupore di essere Zhuang Zhou. Non seppe più allora se era Zhou che sognava di essere una farfalla, o una farfalla che sognava di essere Zhou. Tra lui e la farfalla vi era una differenza. Questo è ciò che chiamano la metamorfosi degli esseri.

(Zhuang-zi [Chuang Tzu], IV sec. a.C.)

In un millennio nel quale i cloni sono divenuti una realtà, molto probabilmente più concreta di quello che molti di noi hanno occasione di sapere, la science-fiction, che avrebbe tanto se non quasi tutto da dire, sembra invece brancolare nel buio.

Eppure, la clonazione, o meglio la manipolazione della vita umana, è uno dei temi portanti della sf. Anzi, gli ha dato origine se vogliamo considerare il Frankenstein di Mary Shelley uno dei prototipi moderni di questa letteratura, per poi passare al Wells dell’Isola del Dottor Moreau e approdare al Mondo Nuovo di Aldous Huxley.

Paradossalmente, man mano che le scoperte genetiche si sono fatte più concrete, si sono però affievoliti anche i fervori degli scrittori. Non molte, anche se degne di nota, le comparse di cloni nei romanzi pubblicati nei decenni che precedono il nuovo millennio; da A come Andromeda di Hoyle per arrivare al Dune di Herbert, per citare due estremi sufficientemente lontani nel tempo e nel genere.

Un po’ come dire che i cloni sono entrati nel tool-kit dello scrittore di sf, così da scomparire come argomento portante. A parte forse l’eterno, onnipresente, Fredric Brown: nel 1954 scrive il racconto Keep Out (Alla larga!, in Cosmolinea B-2, Biblioteca di Urania 12, 1983) e, come suo solito, centra l’argomento con il rischio di metterci sopra una lapide tombale per tutti quelli che lo seguono (“Se l’uomo costruirà altri tipi umani, chi saranno i ‘diversi’?”). A parte lui, pochi altri gli esempi veramente significativi: Il seme tra le stelle di J. Blish (The Seedling Stars, 1956), Solaris di Stanislaw Lem (Solaris, 1961), Sorella clone di Pamela Sargent (Clone Sister, 1973), Ricambi di Michael M. Smith (Spares, 1994). Forse dimentico qualcosa, ma non molto.

Ad esempio non dimentico di citare Dick, che però merita qualcosa più che una citazione. Nell”immaginario collettivo Dick ha creato i replicanti, ha creato i simulacri, ha messo in circolazione il Modello Due (che non è un clone, ma insomma…). È l’autore che più di ogni altro ha indagato sul significato della realtà intrinseca dell’uomo e ha instillato in ognuno di noi il dubbio taosita della corretta percezione dell’essere (vedi Zhuang-zi). Insomma, è andato ben oltre la domanda posta da Brown sul concetto di “diversità”.
Dick è un autore che, un po’ come Wells, ha fagocitato l’intero genere ed è difficile toccare argomenti che non siano stati già trattati. E come con Wells, il cinema ne ha fatto man bassa.

Dato che negli ultimi anni la sf si è spostata dalla letteratura al cinema, è ovvio pensare che proprio lì possiamo trovare l’argomento clone trattato in modo più peculiare. Mettendo da parte la saga di Star Wars, la cui seconda parte, che e poi la prima, si basa praticamente tutta sui cloni, l’argomento ben si presta ad essere utilizzato, tanto che l’elenco di film potrebbe essere pressoché sterminato. Lo potremmo iniziare da un film del 1956, L’invasione degli ultracorpi, tratto dal romanzo Gli invasati di Jack Finney (The Body Snatcher, 1954); è un film che nei recenti ultimi vent’anni ha visto almeno due remake, ma nel quale sono gli alieni che creano cloni dei terrestri, per cui direi che il discorso non vale, siamo “fuori tema”.

Tralasciando altri esempi ancora più ovvi (quasi tutti di sana matrice dickiana o comunque ispirati alle sue opere, che vanno da Atto di forza a Blade Runner, da Il 6° giorno al recente Il mondo dei replicanti) di esempi ce ne sarebbero veramente a bizzeffe (pensiamo a Terminator, per dirne un altro). Ma a ben vedere, in tutte quelle storie, il concetto di clonazione è un pochino spurio, non è centrale alla storia. Ma forse le cose stanno cambiando con il cinema del nuovo millennio.

La locandina italiana del film

Nel 2005 Michael Bay firma la regia del film The Island, con McGregor e Scarlett Johansson quali protagonisti. Abbiamo una bella storia di sf che vagamente a qualcuno potrà ricordare il romanzo La fuga di Logan di William F. Nolan, ma che è simile solo per l’ambientazione claustofobica. I due protagonisti e tutti gli abitanti dell’Isola (per l’appunto), sono in realtà dei cloni che servono da pezzi di ricambio a dei ricconi che vivono in città. Grazie alla prespicacia del protagonista maschile, che sospetta qualcosa di poco chiaro in tutta la faccenda, i due riescono ad “evadere”; il film si perde in inseguimenti fantascientifici e il tutto viene poi diluito in una patina adrenalinica. Ma è il modo degli americani di concepire le trame dei film, non ci possiamo fare niente (finito quello Michael Bay si è messo a giocare con i Transformer; non l’ha fatto da piccolo e sta recuperando adesso).

La locandina italiana del film

Fortuna, dirà qualcuno, che ci sono gli inglesi. Nel 2009 tal Duncan Jones (che è uno sconosciuto, ben inteso, al massimo lo si conosce perché è figlio di David Bowie…) spendendo una manciata di sterline firma la regia di Moon, ambientato qualche anno nel futuro rispetto al presente, in una situazione globale in cui finalmente si è trovato il modo di sfruttare le risorse messe a disposizione dal nostro satellite preferito. Così una multinazionale ha avuto il permesso di piazzarci una stazione per spedire sulla Terra periodicamente le scorte di Elio 3 che è divenuta la fonte energetica che ha sostituito tutte le altre. Wow!

Siamo finalmente davanti a un opera di fantascienza classica, nella quale valgono di più le idee degli effetti speciali, che dopo molti decenni porta giustizia ai cloni; sarà un caso, ma è inglese. Il film è senz’altro a basso costo, un po’ perché è girato tutto nell’interno della stazione spaziale (con un marcato omaggio allo Stanley Kubrik dell’Odissea), un po’ perché l’attore è in pratica uno solo: Sam Rockwell, con la sola voce di Kevin Spacey che anima Gerty, il computer della stazione. E i cloni, dove sono direte voi? Be’, i cloni sono proprio le numerose copie del protagonista che vengono risvegliate una dopo l’altra, per tenere attiva la stazione anno dopo anno, senza che naturalmente nessuno si sia mai preso la briga di dire al clone la verità. Tutto funziona liscio, finché casualmente un clone non recupera accidentalmente la sua copia precedente, rimasta intrappolata in un veicolo di superficie dopo un incidente, ma ancora viva.

Et voilà, Zhuang Zhou ha finalmento incontrato la farfalla. E da qualche parte c’è ancora qualcuno che ha voglia di usare la sf per quello che è veramente.

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