You are currently browsing the daily archive for 16 ottobre 2009.

racconto di Giorgio Ginelli
segnalato alla quarta edizione del Premio Città di Montepulciano, 1992
e pubblicato sul quotidiano Corriere del Giorno di Taranto, 17 luglio 1992


1.
I tre erano seriamente preoccupati, lo si vedeva da come quello più alto agitava le mani e da come quello che gli stava in fianco scuoteva la testa. Poco più indietro, ma solo di mezzo passo, il terzo, che era il più basso e tozzo, aveva l’aria imbronciata di chi ne ha già avuto abbastanza di tutta quella storia.
– Dai Danton, tranquillo. La beve, vedrai che la beve.
– No. È talmente cretina come definizione che anche mia sorella storcerebbe il naso. “Distorcitore spaziotemporale”… Sa di film di serie B!
Dietro le loro spalle Bieta sbuffò forte, col preciso intento di farsi notare.
– Senti, perfino Bieta ha qualcosa da dire.
– Ci credo bene! Ha ormai finito il prototipo da un mese e smania di provarlo almeno una volta… Dai, dai, vedrai che andrà tutto bene.
– Fermiamoci un attimo… Un attimo che se no divento matto!
– Lo sei già Danton, lo sei già… Come tutti noi, altrimenti non ci saremmo messi insieme in questo progetto.
Il terzetto si fermò davanti a un distributore di bevande e Bieta, incurante dei due compagni che si fronteggiavano, si servì di una cioccolata calda. La cioccolata per Bieta era un rito, fin dalla sua infanzia. Quel poco che ricordava dei suoi genitori, anzi di sua madre, è legato a fumanti tazze di cioccolata servite nei pomeriggi d’inverno. Ogni volta che ne poteva sorseggiare una, la sua mente andava indietro nel tempo… E già, il tempo.
– Senti Guzzo – stava dicendo Danton. – Sono d’accordo con te che Pompeo non accetterebbe mai un progetto riguardante una macchina del tempo. Ma non possiamo nemmeno andare a raccontare la panzana del distorcitore a un docente di neurofisica molecolare!
– È una questione formale, Danton. Formale e basta. Pompeo non può accettare un progetto dichiaratamente al di là delle normali conoscenze tecniche. Ma rimarrà incuriosito, affascinato dall’esposizione che tra qualche minuto tu gli proporrai in quella stanza là in fondo. Non aspetta che te! La tua esposizione della mia teoria neurotemporale sarà l’avvenimento accademico dell’anno!
Bieta intanto continuava a sorseggiare la cioccolata guardando alternativamente i due compagni e sbattè quattro volte le palpebre prima di parlare; anche quello era un avvenimento. – Vi ricordate gli esperimenti fatti da Pompeo sui fenomeni di déjàvu?
– Che diavolo centra il déjàvu con i viaggi nel tempo, Bieta? È la cioccolata che ti fa quell’effetto?
– Non hanno attinenza, è vero Guzzo. Ma incidentalmente sia Pompeo nei suoi esperimenti che noi, nel prototipo della macchina, abbiamo utilizzato le stesse matrici cerebrali.
Il terzetto sembrò inghiottito in una bolla di silenzio assoluto. Il caos del corridoio svanì per qualche istante mentre ognuno dei tre elaborava con la propria materia grigia quell’acutissima osservazione. Infine Danton rompe l’incantesimo e ripiomba il terzetto nel corridoio con un’esclamazione urlata a pieni polmoni: – Bieta, sei un genio!
Anni prima, il loro illustre docente di neurofisica molecolare, era stato il pioniere dell’approccio all’analisi dei fenomeni fisici attraverso le strutture organiche. Un po’ come dire che era stato il primo a usare il cervello… e la battuta aveva fatto subito tutto il giro del Politecnico.
Le matrici cerebrali non sono altro che impianti neuronali di persone realmente esistite e di cui la banca degli organi della facoltà di neurologia era stracolma. Erano servite per un certo periodo alle ricerche contro il cancro, ma furono subito messe in disparte all’avvento delle prime cellule cerebrali sintetiche.
Nei suoi primi anni di ricerca Pompeo era riuscito quasi ad elaborare una teoria che desse una spiegazione ai fenomeni provocati dalle scariche cerebrali, come i déjàvu o le crisi convulsive, proprio utilizzando quelle matrici cerebrali. Si era fermato per paura del ridicolo.
Nell’ambiente accademico già trapelavano voci secondo cui Pompeo giocasse con i cervelli della neuro per fare un megaelaboratore, o per riprodurre in forma sintetica il pensiero umano; tutte voci che lui aveva fatto correre, anche se non vere, poiché davano una connotazione di moderata importanza a quello che era il vero scopo della sua ricerca.
Ciò che turbò la sua tranquillità fu una frase che sentì un giorno, per caso, da due studenti del secondo anno: “Speriamo che Pompeo renda pubblica la sua ricerca, così anche noi potremo aumentare il nostro quoziente di intelligenza”. Lì per lì non ci fece nemmeno caso, ma poi montò su tutte le furie. Non poteva sopportare che girasse una voce come quella; lui non aveva bisogno di trovare un metodo per acquistare più sale in zucca! Se quella voce fosse girata, sarebbe stata la fine per la sua immagine nel mondo accademico e per la sua carriera.
Interruppe così le ricerche e pubblicò un trattato che illustrava più o meno l’utilizzo delle terminazioni neuronali organiche per lo studio del sonno profondo. Ottenne ugualmente la cattedra con tutti gli onori ed è tutt’ora un opera basilare per quanti si occupano di apparecchiature bioelettroniche.
Dunque Bieta aveva visto giusto. Non c’era niente di meglio che far passare la loro macchina del tempo per un’apparecchiatura dedicata all’analisi dei fenomeni elettrici del cervello. Il seguito delle sue ricerche, insomma.
– Dici che dovremmo tirare in ballo i déjàvu, Danton?
– Sarebbe meglio evitare. Non vorrei risvegliare in lui tristi ricordi. Sai com’è di umore viscerale Pompeo.
– Un vago accenno però lo farei… Giusto per fargli capire che noi…
– Vedrò di che umore è e deciderò sul momento.
Nel frattempo il terzetto era arrivato vicino alla porta dell’aula ed entrarono con passo sicuro: il Guzzo, Danton e, trotterellando a ruota, il taciturno Bieta.
Pompeo aspettava proprio loro e non era solo. Alcuni studenti del terzo e quarto corso stavano seduti tra i banchi. – Aspettavamo proprio loro, miei cari signori.
– Stavamo raccogliendo gli appunti – si scusò per tutti Danton. – Vorremmo fare un’esposizione breve e coincisa, signore.
– Bene, non vi manca che cominciare. E non preoccupatevi di quanti vi stanno intorno. Esponete a me il vostro progetto senza preoccuparvi che venga capito da altri che me!
Il Guzzo e Danton si guardarono negli occhi. Bieta si era già seduto e fu subito seguito dal Guzzo che lasciò Danton con lo sguardo perso nel vuoto. Sentiva freddo. Forse era il vento, ma in aprile tira una piacevole brezza. ‘Qua dentro tira aria cattiva, però’ pensò Danton prima di aprire bocca per parlare.

2.
– Bravo Danton – stava dicendo il Guzzo, mentre l’amico piangeva. – Un’esposizione superba. Perfino nei minimi dettagli…
Bieta era seduto accanto a Danton e scrollava la testa; un gomito era appoggiato all’intelaiatura di una macchina che sembrava l’incrocio tra una pedana da discoteca e la stanza di teletrasporto dell’Enterprise.
– Pensa Danton – proseguì implacabile il Guzzo, per niente intenerito dai singhiozzi dell’amico. – Prima che tu dicessi quella maledetta parola, Pompeo aveva mantenuto un’espressione quasi attenta e interessata. Ma è bastato quell’accenno al tempo per mutare irrimediabilmente la mimica della sua muscolatura facciale! E suppongo anche dei suoi processi cerebrali…
– Non volevo – singhiozzava Danton. – Non pensavo che gli bastasse così poco per…
– A Pompeo! – urlò il Guzzo. – Proprio a Pompeo, Danton? Quell’uomo ha un sacro terrore di tutto ciò che possa farlo cadere nel ridicolo! Un minimo accenno al tempo è bastato per insospettirlo e ti ha tirato fuori dalla bocca tutto quello che voleva con due sole domande, Danton. Te ne sei accorto? Dov’eri quando è successo?
– Che possiamo fare ora? Non possiamo buttare all’aria tutte le ricerche e il prototipo. Non abbiamo nemmeno il tempo per fare il prototipo di qualcos’altro.
A quel punto Bieta battè furiosamente il palmo della mano sull’intelaiatura della macchina del tempo: – Non ci saranno altri prototipi che questo!
– Che ti prende Bieta? Se ti prudono le mani grattale su un mobile meno costoso.
– La tua teoria è esatta?
– Che domanda idiota…
– Rispondi.
– Manca solo la fase delle prove sperimentali…
– Bene! Quelle possono cominciare anche subito, perché se la tua pensata è giusta e i calcoli di Danton anche, questa macchina è un gioiello di perfezione. Qualsiasi cosa assemblata da me lo è!
Poter vedere Bieta che si accalora in un discorso non era uno spettacolo da tutti i giorni, e il Guzzo e Danton rimasero un attimo di troppo a bocca aperta, così l’arringa proseguì senza interruzioni: – Cosa dite che penserà Pompeo vedendoci entrare in quella sua maledetta aula tra, diciamo… un anno… no, cinque anni da adesso! Rimarrà sbigottito e non potrà fare altro che rimangiarsi le parole che oggi ci ha urlato. La macchina non aspetta che noi. Abbiamo ancora qualche ora prima che quelli della facoltà vengano a buttarci fuori o ci tolgano la corrente. Saltiamo su quella pedana e io vi porterò dove volete. Anzi… quando volete!
Fu Danton il primo a riprendersi: – Ma non eravamo d’accordo che avremmo cominciato con degli oggetti e di portarli avanti nel tempo solo di qualche secondo, poi minuto e poi infine di qualche ora?
– Il tempo stringe ragazzi: o noi, e adesso, o niente più. Sento già i passi di qualcuno nel corridoio e forse dirigono proprio qui…
– Ehi, Guzzo, dì qualcosa. Questa cavolo di teoria è tutta tua, dopotutto.
Il Guzzo aveva un piede poggiato alla pedana e lo sguardo di chi da troppo è soprappensiero; appena si mosse per salirci Bieta schizzò rapido dietro la consolle di comando: – Cinque anni avete detto?
– Vada per i cinque anni – mormorò Danton salendo il gradino della pedana come se fosse quello del patibolo.

3.
Il nostro cervello percepisce il tempo come un flusso costante di corrente, dice la teoria neurotemporale del Guzzo. Aumentare il flusso di questa corrente significa rischiare di cortocircuitare il cervello; ma se la si incanala con gli opportuni trasduttori il cervello assume senza conseguenze un flusso temporale maggiore. Si muove cioè nel tempo più velocemente.
Tutta le realtà in cui siamo immersi è solo una grossa finzione. Il nostro cervello può essere ingannato anche da semplici realtà virtuali, come il sogno e lo stato ipnotico. Anche queste realtà sono dovute a diverse intensità di corrente elettrica che fluisce tra i neuroni.
La matrice cerebrale all’interno della macchina progetta da Danton e costruita da Bieta, si comportò esattamente come la teoria del Guzzo aveva previsto.
Quando il senso di disagio, la lieve nausea che li aveva pervasi, liberò il loro stomaco e la loro mente, i tre si ritrovarono nÈ più nÈ meno dove erano partiti. Lo scantinato della facoltà era lo stesso, forse più malandato. Sicuramente più buio e umido.
– Ehi, sono anni che non danno una scopata qua dentro!
– Almeno cinque…
– Pensate che ci aspettino? Si saranno pur accorti che siamo spariti nel nulla…
– Quando ci vedranno sarà come comparissero tre fantasmi. Vediamo se c’è ancora qualcuno in grado di spaventarsi.
Nessuno dei tre si ricordava il corridoio così buio. E anche al primo piano c’era minor andirivieni che cinque anni prima.
– Ehi Bieta, sei sicuro di essere andato cinque anni avanti? Qua sembra di essere tornato ai tempi del mio bisnonno, quando al Politecnico non ci andava quasi nessuno.
– Bè, basta guardare il giornalaio nell’atrio. Si userà ancora mettere delle date sui giornali spero.
In effetti erano passati cinque anni, come poterono semplicemente constatare appena davanti all’edicola. Non resistettero di dare anche una scorsa ai titoli dei giornali, senza però ricavarne nessun giovamento; sembrava che i problemi fossero gli stessi di cinque anni prima.
– Dai, andiamo da Pompeo. Non vedo l’ora di farmi vedere da lui.
– Ehi Guzzo, un momento! E se incontriamo noi stessi!
– Non dire fesserie Danton. In cinque anni chissà dove siamo finiti, altroché stare in questa fumosa università!
– Vuoi dire che la tua preziosissima teoria non tiene conto di questo piccolo fattore?
– Ehi, ragazzi, non c’è stato tempo. Questo fa parte degli affinamenti. Del resto dovevamo fare gli esperimenti con degli oggetti inanimati, ricordi?
– Ma è esattamente quello che ho detto io… cinque anni fa!
Il Guzzo si fermò e prese Danton per le spalle: – Calma amico. Forse siamo stati un po’ precipitosi, non lo metto in dubbio. Ma è così che si conquista un posto nella scienza: rischiando sulla propria pelle. Cosa vuoi che succeda se ci incontriamo?
– Ci salutiamo?
– Esatto, bravo. Vedo che in questi cinque anni non hai perso il tuo senso dell’umorismo.
Il corridoio con l’aula di neurofisica molecolare era sempre lo stesso di cinque anni prima e leggendo la bacheca nell’atrio d’ingresso avevano avuto la conferma che Pompeo era ancora al suo posto. La porta dell’aula era aperta e i tre si intrufolarono accodandosi a un gruppo di studenti, fermandosi però sulla soglia.
– Avanti, avanti… Anche voi tre. Non fatemi perdere del tempo li apostrofò una voce a loro ben nota.
– Non ci ha nemmeno riconosciuti… – mormorò il Guzzo. – Andiamo avanti fin dove ci possa vedere.
– Forza sedetevi lì… Nuovi? Di che corso siete?
I tre guardarono Pompeo con occhi divertiti. Appariva solo un poco più vecchio di come lo avevano visto qualche ora prima, ma era indubbiamente sempre lo stesso.
– Avanti! Sedetevi! Non fatemi perdere del tempo!
Decisero, scambiandosi un’occhiata, di stare al gioco; dopotutto cos’era per loro ormai ascoltare una lezione di Pompeo con tutto il tempo che avevano a disposizione?
– Benissimo… Questa è l’ultimo incontro sul tema del nostro seminario e mi dispiace per i nostri tre nuovi colleghi. Posso consigliare loro di iscriversi per il prossimo, alla fine di novembre… Oggi vedremo come sono stati ottenuti i risultati delle analisi condotte da due gruppi di ricerca da me coordinati, sui fenomeni di déjàvu nei soggetti umani della terza età…
Il docente si lanciò in una spiegazione dettagliata delle apparecchiature utilizzate, mente i tre rimanevano sempre più perplessi e sbalorditi.
– Ehi Danton, ma quella ricerca non l’aveva mica interrotta?
– Si vede che in questi cinque anni avrà trovato il coraggio per portarla a termine.
– Allora forse possiamo finalmente parlargli della teoria neurotemporale.
Per tutto il tempo che durò l’esposizione del docente il Guzzo elaborò un quesito da porgli e appena iniziarono le domande degli studenti si prenotò. Quando fu il suo turno si alzò persino in piedi: – Professore, dai risultati dell’analisi condotta non giudica possibile un nesso non casuale con i fenomeni da lei analizzati e i balzi temporali?
Un brusio percorse l’aula, che al Guzzo ricordò il flusso di una scarica nel cervello: da est a ovest, e viceversa in un’onda continua e costante.
– Ma giovanotto, mi sembra chiaro di aver già dimostrato in passato come questo nesso non possa sussistere.
Il Guzzo gongolava felice e stava per urlargli contento “Noi siamo la prova vivente!” quando fu bloccato da una stretta alla mano di Danton, che lo esortava a continuare ad ascoltare quello che diceva Pompeo.
– Nei miei precedenti seminari ho appunto trattato di questi aspetti… Se lei non ha mai partecipato abbia la compiacenza di documentarsi… Un’altra domanda, per favore.
– Ma professore! – urlò a quel punto il Guzzo. – Come può dire una cosa simile? Non ci riconosce?
– Riconoscere chi, diamine?
– Ma noi tre! – e il Guzzo sollevò Bieta e Danton che si dibatteva, prendendoli per un braccio. – Siamo quelli dellamacchina del tempo! Cinque anni fa, in questa stessa aula!
– Ma che diavolo state farneticando. Cinque anni fa svolgevo ancora attività di ricerca, vivaddio! Chi siete, insomma? Non vi ho mai visto in questa facoltà.
Danton strattonò il Guzzo per la manica: – Usciamo! Presto, usciamo da quest’aula!
– Ma che diavolo fai! Non senti quello che ha detto?
– Certo, e ha perfettamente ragione, zuccone che non sei altro. Vieni via che cerco di spiegarti.

Disegno di Cristina Maiocco

La porta sbattè dietro di loro smorzando il brusio che avevano prodotto nell’aula. Nessuno uscì per inseguirli e si incamminarono verso il sotterraneo dove era la loro macchina.

– Spero tu ci possa spiegare ora.
– Certo, ben volentieri! La tua dannata teoria non tiene conto che noi ci muoviamo in qualcosa che non esiste!
– Che diavolo dici!
– Il nostro cervello non può creare il futuro, ci può solo andare.
– E allora?
– E allora – intervenne Bieta spazientito, – ogni volta che si va nel futuro ci si sposta anche di continuum. Cioè andiamo in un futuro che è già esistito per qualcuno, non certo nel nostro. – In questo continuum noi forse abbiamo studiato nella stessa facoltà, ma ce ne siamo andati almeno da cinque anni, quando Pompeo non era ancora il docente di quella cattedra. Stava ancora facendo le sue ricerche! Per quello che ne sappiamo noi tre non ci siamo nemmeno mai conosciuti.
– Mi stai dicendo che è perfettamente inutile che siamo andati avanti nel tempo?
– Più o meno…
– Ma la macchina funziona!
– Ma a cosa ci serve? Bieta si avvicinò al Guzzo e battendogli la mano sulla spalla continuò: – La macchina del tempo va solo avanti, e comunque anche se andasse indietro non è più una questione di tempo, perché ormai il nostro continuum temporale è definitivamente perso… Il tempo è solo un’enorme bugia, Guzzo. O forse, più filosoficamente, il tempo racconta grosse bugie e noi abbiamo creduto alla più grossa di tutte: quella di potercene servire.

(© 1991 by Giorgio Ginelli)

In seguito su CITY3

ottobre: 2009
L M M G V S D
 1234
567891011
12131415161718
19202122232425
262728293031  
Informativa sui Cookie

Si avvisano i visitatori che questo sito utilizza dei cookies per fornire servizi ed effettuare analisi statistiche anonime.

È possibile trovare maggiori informazioni all’indirizzo della Privacy Policy di Automattic.

Continuando la navigazione in questo sito, si acconsente all’uso di tali cookies.

In alternativa è possibile rifiutare tutti i cookies cambiando le impostazioni del proprio browser.