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Provare amore non significa necessariamente annullare la propria individualità in favore del piacere o delle necessità di qualcun’altro. Credo che l’amore – tra due persone, tra due entità, tra due mondi – sia soprattutto mantenere in uno stabile equilibrio la propria dignità in funzione dei bisogni di ognuno.
Ma l’amore è un sentimento complesso, a volte estremamente ambiguo per delle menti come le nostre, abitute a semplificare, spesso, troppo eccessivamente. 

  

A volte, per esempio, uno pensa che annullarsi per amore sia l’unico modo per espiare una colpa. Un po’ come la protagonista di The Others, un film del 2001, protagonista Nicole Kidman; una coproduzione tra USA ed Europa, una pellicola densa di emozioni forti e con una fotografia quasi da premio oscar.
L’amore spesso è dunque tossicità allo stato puro, come nel caso del film, e rischia di annullarti non solo la vita, ma anche la morte. 
  

Più spesso l’amore, invece, è leggerezza, e allora diviene poesia: Ovidio, Shakespeare, Cyrano de Bergerac, Leopardi… Come dice Italo Calvino nelle sue Lezioni americane (A. Mondadori, 1988), solo un poeta è in grado di togliere peso alla struttura narrativa e al linguaggio. La sua prima lezione è proprio legata a questo importante valore nella letteratura, dove costantemente si può apprezzare la contrapposizione tra leggerezza e peso.

Alla fin fine l’amore può essere anche perdizione, e ne sapeva qualcosa Dino Buzzati il quale, con il romanzo Un amore (A. Mondadori, 1963), ha messo a nudo la determinazione dell’uomo e mentire a se stesso pur di mantenere saldo il sogno idealizzato della donna, “creatura di un altro mondo vagamente superiore e indecifrabile”. Tutto in nome della necessità di andare oltre quella quotidianità che, in ambito metropolitano, è uno spettro sempre presente all’orizzonte di ogni individuo e dove spesso si è disposti a crogiolarsi nell’illusione di un affetto a senso unico. 

Ma in alcuni casi l’amore è anche impossibile, come ad esempio se lui o lei, in ogni caso l’altro, non proprio della tua stessa razza. Nel 1952 Philip José Farmer delinea il problema nel suo The Lovers(Un amore a Siddo, SFBC 26, casa editrice La Tribuna, 1966). L’ambientazione claustofobica della prima storia di sf del famoso prolifico autore americano, fa da sfondo all’ingenua e impossibile storia d’amore tra un’aliena e un terrestre, il quale deve trovare il modo più efficace di sterminare tutti gli abitanti del suo mondo. Un romanzo che accosta all’amore altri temi scottanti come il razzismo e la repressione.

  

Per quello che ne so, io, l’amore è anche tristezza. Per dirla con Cesare Pavese: “Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, infermità, nulla” (Il mestiere di vivere, saggi EInaudi, 1952). Il che non vuol forse dire che ci si uccide perché l’ultimo amore ti abbandona, ma forse perché intravedi che non riesci più a sopportare le offese della vita. La donna quale paradigma antropologico della società che aggredisce e fagocita gli individui più deboli: impotenza e infelicità di fronte al tramonto di tutti i valori.

Il solo vero amore è forse allora quello della donna che usa il proprio corpo per fare schermo sopra i bambini che gli sono stati affidati, mentre un terremoto ribalta il suo angolo di mondo e trasforma i sopravvissuti come nessun altro evento avrebbe mai potuto.

Un terremoto spiana tutto; è pace. Tranquillità.
Se non si ascolta lo strepitio dei vivi.
Il pianto dei giusti: sarete ricordati con affetto!
Morire sotto le macerie è un modo per avere pace.
Morire sotto le macerie è come aver dato il massimo
che si poteva anche per chi non si conosce.
(GG, aprile 2009)

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